Concerti, Spettacoli live e Silent Disco, dal 2009 a Sestri Levante, Genova
Formati nel 2011 in quel di Brooklyn, come band di supporto per un solo project del leader Zachary Cole Smith (newyorkese di nascita ma cresciuto nel Connecticut), ex-chitarrista negli psichedelici Soft Black e batterista nei ben più noti Beach Fossils, i DIIV si sono rapidamente affermati come una delle formazioni di punta del movimento nu-shoegaze che ha caratterizzato gli anni Dieci. Smith aveva da parte dei brani che voleva realizzare a proprio nome e reclutò gli amici di lunga data Andrew Bailey (chitarre), Devin Ruben Perez (basso) e Colby Hewitt (batteria, già con gli Smith Westerns) per inciderli e suonarli live. Il quartetto prese inizialmente il nome di Dive, in omaggio al celebre brano dei Nirvana, nome poi modificato per evitare confusione con altre due omonime band, attive una in Belgio e l’altra in Svezia nei primi anni 90. Subito messi sotto contratto dalla Captured Tracks, in men che non si dica diffondono due singoli, “Sometime” e “Human”, che delineano un sound influenzato in maniera determinante tanto dalla darkwave di matrice Cure, era “Disintegration” quanto dalle spirali shoegaze tipiche del decennio successivo. Anticipato dall’ulteriore singolo “Geist” e dal videoclip di “How Long Have You Known”, che richiama da vicino le prime cavalcate elettriche dei War On Drugs, il 26 giugno 2012 si concretizza l’album d’esordio, Oshin, un frullato revivalistico che miscela il primo periodo Creation, certa psichedelia degli anni 70 e la cruciale scena di Seattle dei tardi 80. Un viaggio allucinogeno costruito su ritmi marziali, jangle chitarristici sgangherati e narcolettici, frammenti melodici calati in dilatazioni sognanti, turbolenze psichedeliche, cascate di tastiere e riverberi cangianti. Un’esperienza stroboscopica evidenziata da una brillante e stridente bassline post-punk, enfatizzata nei ricorrenti frangenti strumentali (compaiono anche due tracce prive di parti cantate), incrociata con un atteggiamento motorik, molto TOY, che prende il sopravvento specie nelle trame di “Druun Pt. 2”. Le linee vocali risultano non di rado nebbiose, lontane e gelide, coperte da strati di chitarre che incarnano luci e ombre della caotica New York. La dirompente strafottenza di “Air Conditioning” e l’esplosività di “Doused” sono controbilanciate dai trip ipnotici che caratterizzano la squisita epicità à-la Cure di “Wait” e “Earthboy”, dalle sensualmente attraenti melodie di “How Long Have You Known” e dal post-punk di “Sometime” e “Oshin (Subsume)”. Oltre alle influenze sopra citate, non sfuggiranno i riferimenti al desert-psych di matrice maliana, tanto che il nome del chitarrista Baba Salah verrà citato da Zachary in diverse interviste rilasciate all’epoca.
Fonte: Ondarock